Spesso ci si interroga sul vero valore dell’arte.
Secondo alcuni è un passatempo, per altri è inutile, per altri è un mondo lontano a volte incomprensibile, un lusso per pochi, un accessorio per aumentare il fascino, un feticcio da radical chic.
Molte altre persone invece in questo momento non vedono l’ora di tornare al cinema, al museo, in un teatro, in libreria, a un concerto. Molti altri si dedicano, forse per la prima volta, a disegni, scrittura, forme di espressione.
Non è importante il risultato, ma come ci fa sentire.
A mio parere l’arte è di tutti, ed è semplicemente sentimento e bellezza.
È qualcosa di profondamente insito nella natura umana e nel suo modo di esprimersi. Da sempre l’uomo disegna, canta, scrive, inventa storie e racconti. In essa canalizza emozioni, esperienze. In questo momento di paura e incertezza l’arte può diventare davvero un porto sicuro, un luogo di sfogo e comprensione e di condivisione.
Ed ecco forse allora spiegato il suo valore, difficile da quantificare, come tutte le cose ineffabili.
Nel 1869 Baudelaire nel poemetto “Perdita dell’aureola” denunciava la condizione del poeta: non più guida morale e culturale egli perde nella società moderna il suo status, diventando se non uomo comune addirittura oggetto di scherno. Il poeta è goffo nella società borghese e si trova a suo agio solo nei bassifondi, tra prostitute e ubriaconi, dove il giudizio è minimo e può essere realmente sé stesso.
Simbolo di questo ribaltamento di status è la perdita dell’aureola: nel caos cittadino l’aureola del poeta cade nel fango, ed egli non trova il motivo di doverla recuperare.
Perciò la prossima volta che incontrerai un artista, non chiedergli qual è il suo lavoro vero.
Quando incontrerai un ragazzo o una ragazza che si è laureato o laureata in una facoltà a tuo parere non remunerativa in futuro, limitati a fargli i complimenti, non chiedergli in modo beffardo “bello… ma dopo?”.
Dopo più di cento anni dalla riflessione di Baudelaire ci troviamo in un momento in cui la società prosaica della velocità, del consumo e dell’apparenza è costretta a fermarsi, riorganizzarsi e cambiare, forse per sempre. Che ne sarà allora dell’aureola del poeta?
Forse sta a noi deciderlo.